“L’Anziano” e la Soddisfazione

“L’Anziano” e la Soddisfazione

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Il tema della “soddisfazione”, sul quale si è incentrata una ricerca  iniziatasi nel 2005 con incontri individuali e collettivi, può essere pertinente alle persone anziane  soprattutto per due ragioni: perché la soddisfazione prescinde dalla prestazione e perché essa fa la differenza fra vivere e sopravvivere.
Per esemplificare basti dire che anche la passeggiata lenta fatta in età avanzata può essere foriera di soddisfazione; ma altrettanto vale per l’ascolto della musica da parte di un allettato cronico, perché ciò che conta non è tanto quello che si fa, quanto il rapporto che si ha con questo fare.
Del concetto di soddisfazione è possibile avere qualche idea attraverso le proposizioni “appagamento del proprio pensiero”, o anche  “esserci in ciò che si fa”, che rinviano a particolari  sensazioni che ognuno può avere sperimentato: un essere contenti che ci concerne in toto, mente e corpo.
Volendo approfondire ulteriormente tale concetto, e ciò può essere utile al prosieguo del discorso, occorre rifarsi al lessico psicoanalitico, dove il termine soddisfazione si lega a quello di pulsione, ovvero a ciò che ci fa muovere nella quotidianità e che della suddetta totalità psico-somatica costituisce il trait d’union. Il moto pulsionale, scrive Freud,  non è anzitutto orientato da schemi istintivi, come avviene per gli animali, bensì da pensieri personali ed è per questa ragione che le pulsioni vanno incontro a destini differenti, chiamando così in causa la responsabilità degli umani.

Questa demarcazione della pulsione è particolarmente importante in riferimento alle persone anziane, perché se per un verso costoro sono caratterizzate dal venir  meno di  molteplici forze fisiche, per un altro non va scordato l’assunto per cui “il desiderio non muore mai”.
E’ chiaro allora che il considerare gli “anziani” come soggetti desideranti piuttosto che bisognosi, ossia riferirsi anzitutto al loro pensiero, cui il desiderio si lega, e reperire delle modalità che lo sostengano, diventa la prospettiva privilegiata ai fini della soddisfazione.
Va detto subito, tuttavia, che tale prospettiva è molto lontana da quella sociologica, per la quale l’“anziano” è un individuo appartenente a una “categoria” caratterizzata da stereotipi che determinano comportamenti convenzionali, e che in definitiva contrastano con promozioni soggettive di pensiero. 
Questa consapevolezza di matrice sociale ci ha indotto, a una certo punto della ricerca, a virgolettare il termine “anziano”,  proprio allo scopo di prendere le distanze da una categoria che impiglia, e il primo a voler essere impigliato è talvolta “l’anziano” stesso,  abdicando così a sé in quanto persona.
Vi è anche un’altra ragione per cui occorre evidenziare il termine in questione, una ragione che muove dalla prospettiva medica, la quale fa della vecchiaia una “fase” di vita, magari assimilata alla  malattia. Il nostro punto di vista diverge da questa angolazione e porta semmai ad affermare che “l’anziano non esiste”, per cui invece di fase, è più corretto parlare di “percorso di invecchiamento”, un cammino marcato dal “limite” che riguarda tutti fin dalla nascita. La soddisfazione procede dal sapere fare i conti con questo limite - si pensi all’altro e alla morte rispetto all’“onnipotenza” narcisistica -. La visione della vecchiaia in quanto fase facilita invece lo spostamento in avanti di questo limite, in definitiva la sua negazione, “l’immortalità”. Basti ricordare  la quarta, quinta età ... decantate della medicina.
Virgolettare il termine “anziano”, allora, vuole evidenziare una sorta di conditio sine qua non per poter procedere lungo la strada della soddisfazione; significa sottrarsi all’obbligo di fare o non fare determinate cose, ossia vivere una vecchiaia a comando, rinforzata magari da modelli narcisistici come quelli attuali, cui del resto “l’anziano” può prestare il fianco, anche a motivo della riemersione dei  suoi stessi tratti egoistici.
Questa incrostazione costituisce per la persona anziana la prima vera fonte di “dis-agio”, termine che non va confuso con i malesseri - acciacchi, solitudine, mancanza d’interessi - della vecchiaia, perché si tratta di un’invadenza che non lascia spazio (agio) all’individuo per realizzarsi in quanto soggetto, per fare posto al suo desiderio.
A partire da queste considerazioni,  sia negli incontri collettivi come in quelli individuali, cui si è accennato all’inizio, l’obiettivo principale è quello di mettere le persone a proprio agio allo scopo di favorire l’espressione del loro pensiero. Mentre ciò viene perseguito fornendo anzitutto un adeguato spazio d’ascolto.
Per quanto riguarda i colloqui collettivi, dove vengono proposte tematiche legate dal filo conduttore della soddisfazione, quali: Il rapporto con l’altro, in quanto ambito privilegiato ai fini della soddisfazione stessa; Riorganizzare la propria vita, a seguito degli inevitabili lutti e perdite; Gestire e trattare, come differenza fra vivere il rapporto e gestire l’Altro ecc., viene data una notevole importanza agli interventi dei presenti,  per un confronto fattivo sui temi stessi.
Questa modalità vuole rispondere a un preciso criterio, quello volto a riconoscere le persone in quanto soggetti, a promuovere sempre più questo aspetto, favorendone la parola e il pensiero, essendo tale finalità assolutamente in linea con l’idea di  soddisfazione. Si è infatti verificato, ma questo è solo un esempio, che alcuni ospiti di una casa di riposo, dopo pochi di questi incontri, si siano proposti essi stessi per l’introduzione di tematiche analoghe e che tenevano conto di ciò che di volta in volta emergeva dalle discussioni. Questo evento, oltre a essere stato foriero di soddisfazione, ha sorpreso non pochi, destando persino incredulità (come pure, bisogna dirlo, qualche resistenza a livello istituzionale), e dimostrando invece che anche “l’anziano” considerato “spento”, se messo a suo agio, se pro-vocato, sa pensare e mettersi in moto di conseguenza.
Un’altra acquisizione della ricerca è stata quella di reperire e attuare delle “pratiche” che, lungi dall’essere meri intrattenimenti o svaghi, quali solitamente si somministrano agli anziani, sono invece fonte di soddisfazione nonché occasione d’incontro per favorire il rapporto. Si tratta di attività, come il laboratorio di teatro con testi scritti da loro stessi, ma anche il semplice giocare a carte che induce pure a conversare e magari a vedersi anche al di fuori delle occasioni di quell’incontro, volte a rendere “l’anziano” protagonista, a esserci  in ciò che fa.
Questo “esserci” riguarda pure certe attività motorie, come la citata passeggiata, che acquistano tutt’altro significato rispetto all’enunciato medico per cui: “muoversi fa bene alla salute”,  perché esse, più che alla prevenzione di una malattia, al “curarsi”, rispondono a un benessere, al “prendersi cura”. Conosco alcune signore piuttosto avanti con l’età, anche ottantenni, che praticano danza moderna la quale coinvolge molto il loro pensiero e che necessita pure di un notevole impegno fisico. Una signora da me interpellata a proposito di quest’ultimo aspetto, mi ha risposto che sforzi anche inferiori a quelli necessari alla danza la stancano molto, ma non questa pratica, perché le piace e la rende contenta.
Va detto comunque che tali interessi non nascono dal nulla e sono pure difficili a essere coltivati. Affinché ciò avvenga è necessario il giusto tramite relazionale, un altro “competente”, non solo dal punto di vista professionale, ma anche e soprattutto da quello relazionale.
I colloqui individuali con gli “anziani”, dal canto loro,  si caratterizzano anzitutto per un lavoro di ascolto volto a prendere in mano il vissuto, a dargli un senso, renderlo storia, perché il presente e il futuro ne dipendono. Questo lavoro di rivisitazione può avvenire anche in altre situazioni, come quando una nonna è interpellata dal nipotino a proposito dei giochi dei suoi tempi; o con altre modalità, ad esempio attraverso la lettura di un libro, la visione di un film ecc. Tuttavia, nell’incontro con uno psicoanalista, con il racconto è possibile sciogliere qualche nodo che risale al passato, per cui perdite attuali si legano a particolari esperienze remote, anche rimosse, come in certi casi di melanconia, precludendo così la soddisfazione del presente e non permettendo più di riorganizzarsi, come invece avviene nel lavoro del lutto.
Va ricordato infine che la soddisfazione dell’“anziano” può avere anche un risvolto sociale, non soltanto perché essa è un fatto relazionale, ma anche perché colui che avendo un lungo vissuto lo valorizza e riesce a tramandarlo, compie un lavoro di civiltà, di progresso sociale.

 


Alfeo Foletto

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