La cura del desiderio nell’“anziano” di Alfeo Foletto

La cura del desiderio nell’“anziano” di Alfeo Foletto

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Le righe che seguono muovono da un ricerca sul tema “l’Anziano” e la Soddisfazione, svolta con persone in età avanzata e costituita da incontri individuali e collettivi effettuati in vari ambiti, case di riposo incluse.
Inizio da una precisazione che riguarda la virgolettatura della parola “anziano”. Dal punto di vista sociologico il termine ha un suo significato (come pure il termine “vecchiaia” nella visuale medica), da cui però occorre prendere le distanze perché la parola comporta degli stereotipi che lasciano poco spazio ad altre prospettive. Così, pur rispondendo al vero che la vecchiaia determina un declino della pulsione sessuale nella sua componente biologica, non si può dire altrettanto della libido, la componente psichica della pulsione stessa.
L’“anziano” pertanto designa una categoria anonima cui appartiene un individuo che ha lasciato il lavoro, nonché una tappa anagrafica di chi è avanti con gli anni, la quale tuttavia non ha nulla a che vedere con il percorso d’invecchiamento che riguarda ciascuno fin dalla nascita: un percorso connotato dal “limite”.

Ora, la categoria sociale si presta a eludere questo limite, sia a partire da spinte narcisistiche individuali, come quando si vuole evitarla adottando comportamenti giovanilistici; sia collettive, come nel caso in cui la medicina, procrastinando le tappe di vita, induce a pensare di non appartenervi.

Credo sia importante tenere conto di questi aspetti sociali, non perché la psicoanalisi si occupi di sociologia - essa si occupa del rapporto tra l’Io e l’Inconscio - ma perché questa realtà determina effetti nell’inconscio stesso, come nella produzione del sintomo. Non a caso da qualche tempo si parla di nuove forme del sintomo, come anoressia, bulimia, tossicodipendenza, depressione, in quanto differenti dalle manifestazioni classiche - nevrosi - messe in luce da Freud e trattate in una certa maniera dalla psicoanalisi.

Secondo la prospettiva sociologica siamo passati dalla società edipica a quella narcisistica,  intendendo con ciò che non c’è più limite agli oggetti e al consumismo. Secondo la psicoanalisi occorre aggiungere che non c’è più limite alla pulsione, limite di derivazione “paterna”  che inoltre struttura il desiderio, mentre quest’ultimo è soppiantato dal feticcio. Nemmeno l’“anziano” sembra sfuggire a questo destino, sebbene ciò appaia paradossale, dal momento che si tratta di una persona vissuta in periodi caratterizzati dall’autorità paterna e da ideali avulsi dalla logica degli oggetti.

Va detto che la persona anziana non è esente da tentazioni narcisistiche anche per il riemergere di tratti egoistici conseguenti alle crescenti perdite, perdite che talvolta determinano melanconie anziché lutti. Ma analoghe conseguenze possono succedere anche a chi lascia il lavoro, come nel caso del pensionamento, se l’investimento libidico su di esso è volto al sostegno narcisistico anziché alla soddisfazione relazionale.

Qual è la chiave di volta che fa interrompere il percorso d’invecchiamento e fa crollare nello stato di vecchiaia? Lo specchio s’infrange, ricorda Jack Messy, per una perdita di troppo che il soggetto non riesce ad elaborare e a volgere in acquisizione. Ma tale incapacità, occorre aggiungere, è sostenuta dall’idea corrente per cui l’“anziano” è un essere bisognoso, non un soggetto desiderante. Giudizio che poi si concretizza in una sorta di complicità narcisistica: sia da parte di chi gestisce la persona anziana riducendola a oggetto, sia da parte di chi subisce cercando di rivalersi con pretese incessanti.

E’ quanto solitamente avviene nelle case di riposo dove vige il motto, che sta scritto dappertutto,  “ama l’anziano”. Si tratta di un comando che dimostra posizioni impari e conseguenze diseguali, ma che procede dallo statuto del bisogno, non del desiderio. La gratificazione di tutti i bisogni, come si evince dall’anoressia, non avrebbe lo stesso valore della soddisfazione del desiderio, in quanto finalizzato al riconoscimento.

In tali condizioni, facilmente riscontrabili anche al di fuori di determinati contesti, il desiderio viene espunto e il soggetto si spegne.

E’ nell’affrontare questo stato di cose e nel tentare di trovare qualche forma di rimedio che si inserisce ciò che io chiamo soddisfazione, l’altro termine del binomio succitato.

Solitamente traduco la parola soddisfazione con appagamento del pensiero, perché si tratta di una pratica che non dipende tanto dalla prestazione, quanto dal pensiero correlato alla stessa, ed è per questa ragione che essa si attaglia alle persone anziane. Il suo effetto, d’altro canto, può fare la differenza fra il vivere e il sopravvivere.

In termini psicoanalitici “soddisfazione” significa meta pulsionale, e per intendere il passaggio da pensiero a meta, basti dire che la pulsione non è l’istinto, perché in essa è implicato l’Altro. Comunque, ciò che è utile rilevare qui è il nesso fra pensiero e desiderio perché  la loro separazione esclude l’Altro in quanto partner della soddisfazione, e apre il varco a modalità superegoiche che spaziano dal Sommo Bene agli oggetti più infimi. Attraverso questo varco, ad esempio, si sono introdotte parole tipo godimento, felicità che designano sentimenti spesso ingannevoli, come quelli dichiarati dal tossicomane, che non hanno nulla a che vedere con la realtà della soddisfazione in quanto raggiungimento di una meta attraverso un lavoro relazionale.

Quest’ultima considerazione permette anche di comprendere ciò che solitamente connota il tempo libero nelle case di riposo, come del resto nei centri di aggregazione per anziani, ossia l’intrattenimento, lo svago, il gioco, fini a se stessi. Si tratta di modalità volte a passare il tempo, ad ammazzarlo, che non contemplano la possibilità di un riposo attivo caratterizzato dall’agio, cioè dallo spazio relazionale che consente a una persona di fare posto al suo desiderio, di realizzarsi in quanto soggetto.

La soddisfazione consiste anzitutto nella pratica di parola, nella sua circolazione, nel suo ascolto. L’argomento inaugurale di una serie di incontri collettivi è stato Dal curarsi al prendersi cura, titolo da cui risulta evidente il cambiamento di rotta: dalla malattia alla salute, dal fai-da-te alla dimensione relazionale, anche in rapporto al proprio malessere.

Questa prospettiva ha contrassegnato ogni argomento che di volta in volta veniva dibattuto soprattutto durante la conversazione, la quale costituiva un momento importante non solo di confronto, ma anche di coinvolgimento. Ciò evidenziava sempre più la condizione dei presenti quali soggetti pensanti, desideranti, non solo bisognosi, condizione che veniva espressa anche direttamente dagli astanti.

Un’ulteriore acquisizione della ricerca è consistita nel reperire e attuare delle attività pratiche che, al di là dei vantaggi personali, possono costituire anche un’utilità sociale, come ad esempio la salvaguardia del verde pubblico frequentando un parco cittadino, e avendone consapevolezza.

I colloqui individuali, d’altro canto, si caratterizzano essenzialmente per un particolare lavoro di ascolto, finalizzato a prendere in mano il vissuto, a renderlo storia, perché il presente e il futuro ne dipendono. Va detto che ciò è possibile anche con altri mezzi, come un libro, un film,  ma l’incontro con lo psicoanalista è l’ambito privilegiato per onorare - dare riconoscimento a -  un soggetto con un lungo trascorso, e magari con qualche nodo da sciogliere. Ciò dà accesso alla soddisfazione del presente, conferisce senso alla vita, e valorizza una storia che può essere tramandata, realizzandosi così anche un lavoro di civiltà.

La soddisfazione, in definitiva, attraverso le sue varie pratiche volte a rimettere in moto un soggetto, costituisce il terreno di coltura del desiderio, l’ambito privilegiato per la sua realizzazione. Un desiderio che, occorre aggiungere, per quanto riguarda l’“anziano non si esaurisce nella dialettica pulsionale Io-Tu, né in qualche sua forma sublimatoria, ma è anche desiderio di trascendimento, di alterità, persino di ribellione. E’ quanto ad esempio si legge nel libro Indignatevi! scritto dal novantacinquenne Stephanie Vessel, come pure nel libro Sullo stile tardo di Edward W. Said, in cui si evidenzia che molti artisti da vecchi non esprimano compiutezza e ordine, come ci si aspetterebbe, bensì difficoltà e contraddizioni irrisolte.

Testo Convegno di Firenze 27.10.2012

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